La frase del mese...

“Ma i moralisti han chiuso i bar e le morali han chiuso i vostri cuori e spento i vostri ardori: è bello ritornar "normalità", è facile tornare con le tante stanche pecore bianche! Scusate, non mi lego a questa schiera: morrò pecora nera!” (Francesco Guccini)

lunedì 3 marzo 2008

Il Prozac? Meglio Platone…


Socrate, Aristotele, Platone, Hobbes, Hume, Kant, Hegel, Schopenhauer. E poi Buddha, Confucio, Lao Tzu. Tutti conoscono e molti hanno anche letto e studiato le opere di questi grandi esponenti della cultura occidentale e orientale, ma quanti sono riusciti a cogliere concretamente nel loro pensiero una valida guida per affrontare e superare piccole e grandi difficoltà della vita? Tra gli amanti dell’ utilizzo pratico e concreto della filosofia, occupa sicuramente un posto particolare Lou Marinoff, autore di un libro che può esser definito “profetico” : “Platone è meglio del Prozac”. Il libro si propone di dimostrare i benefici e soprattutto la validità terapeutica della cosiddetta “pratica filosofica” rispetto alle soluzioni più tradizionali, ma non sempre efficaci, con cui vengono affrontate patologie come depressione e disturbi del comportamento.

Oggi, in prossimità delle idi di marzo 2008, tutti coloro che, in veste di consulenti o pazienti, si sono affidati alla sapienza dei grandi pensatori di tutti i tempi per raggiungere e salvaguardare il proprio e l’altrui benessere psicologico, possono uscire allo scoperto e sostenere con toni tutt’altro che pacati la loro tesi: “il Prozac non serve per curare, è solo un placebo”. A rinforzare questa provocazione, il risultato di uno studio inglese, il più vasto nel suo genere, che ha acquisito dalla Food&Drug Administration americana i dati delle sperimentazioni cliniche, finora mai pubblicati dalle case farmaceutiche, e li ha messi a raffronto con quelli già disponibili e relativi al consumo degli SSRI, così vengono definiti gli antidepressivi di terza generazione come il Prozac (terzo farmaco più venduto al mondo, che ha raggiunto il picco nel 2006 con circa 31 milioni di consumatori nel Regno Unito) .

La ricerca, coordinata dal professor Irving Kirsch del dipartimento di psicologia dell’Università inglese di Hull, si è concentrata, appunto, sugli «inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina» (SSRI). Gli scienziati hanno riesaminato 47 sperimentazioni cliniche di sei sostanze, tra cui la fluoxetina (il cui nome commerciale è Prozac), la paroxetina (Seroxat) ma anche la venlafaxina (Efexor), che agisce in modo simile. Risultato?

La differenza tra coloro che sono stati sottoposti a terapia con i suddetti farmaci e coloro che hanno assunto un placebo non è poi così grande, il significato di questa tesi, dunque, è facilmente intuibile: i depressi possono guarire anche senza ausilio di sostanze chimiche; per i casi di depressione, dunque, è meglio tentare prima la psicoterapia tradizionale, il cognitivismo/comportamentismo o l’esercizio fisico.
Per questo motivo in Inghilterra verranno preparati nei prossimi tre anni 3.600 specialisti perché i pazienti possano usufruire delle “terapie della parola” . Ancora una sconfitta per le case farmaceutiche, ma l’invito è quello di procedere a piccoli passi e ben vengano approfondimenti mirati a confermare o stravolgere le tesi di Kirsch e della sua squadra.


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